Il Volto della Sci-Fi

di Enrico Di Stefano

 

Ha solo sette anni, il Cinema, quando scocca la scintilla del suo amore per la Fantascienza. All’età in cui un bimbo dovrebbe frequentare la seconda elementare, il figlio di Louis Lumière si infatua di una “signora matura”. L’idillio, col tempo, si trasforma in una duratura relazione senza che la passione si  estingua. Davvero una invidiabile condizione per un matrimonio che dura da 106 anni!

Dai primi passi della SF sul grande schermo, compiuti da quel Voyage dans la Lune di Georges Méliès del 1902 - che oggi è considerato una preziosa testimonianza visiva di ciò che fu lo spirito della Belle Epoque - ne è passata di acqua sotto i ponti. Ed oggi  la Fantascienza è uno dei generi più rappresentati sul grande schermo.

Proprio come accade al Western, anche la Sci-Fi trova degli interpreti “specifici” in grandi attori che, pur essendo molto versatili, possono esprimersi al meglio incarnando eroi di genere.

Il primo ha il suo frontman prima in Tom Mix, poi nell’inarrivabile John Wayne e quindi in Clint Eastwood.

La seconda si affida all’inizio a numerosi interpreti di rilievo – tra tutti citiamo Buster Crabbe e Michael Rennie – per poi trovare espressione compiuta in Charlton Heston negli anni ’60 – ’70 e Arnold Swarzenegger negli ’80 –’90.

L’attore austriaco, per la verità, diventa l’icona vivente del cinema d’azione tout court, quello cioè che può consentire alla sua prorompente fisicità di estrinsecarsi al 100%.

Ma il tempo passa per tutti e, appeso il fucile al chiodo, Terminator si dedica alla politica lasciando vacante il posto di uomo-simbolo della Fantascienza cinematografica.

I contendenti credibili, alla fine, si riducono a due soli: Jude Law e Will Smith.

Del primo restano memorabili quattro interpretazioni magistrali in GATTACA (1997) di Andrew Niccol, Existenz (1999) di David Cronenberg, Artificial Intelligence (2001) di Steven Spielberg e Sky Captain and the World of Tomorrow (2004) di Kerry Conran.

Tuttavia, la recitazione impeccabile (e a tratti distaccata) per certi versi costituisce un limite per l’ottimo Law che si inserisce nel novero dei grandi interpreti amati dalla critica, ma sostanzialmente incompresi dal grande pubblico… Un po’ come accade a Ralph Fiennes e Willelm Dafoe… attori di prim’ordine, ma non per tutti.

Autoeliminatosi l’unico concorrente di spessore, l’incombenza di diventare il Grande Eroe Popolare Cinematografico ricade sulle capaci spalle di Big Willy.

L’attore ha tutte le carte in regola per diventare un beniamino dei fans. E’ un bel ragazzo, ma con buffe orecchie a sventola; quando recita è bravo, ma non cerca mai di strafare; è naturalmente simpatico ed “armato” di un sorriso contagioso. Fattosi le ossa in una serie televisiva cult, Willy il Principe di Bel Air, passa ben presto al Cinema dove ottiene il primo ruolo significativo in Made in America (1993) di Richard Benjamin.

Il grande successo gli arride quando interpreta il capitano Steven Hiller  in Indipendence Day (1996) di Roland Emmerich. Il film, che a distanza di anni si guarda con piacere, fa storcere il naso ai puristi al momento della sua uscita.

La storia rientra nel filone dell’invasione, uno dei più sfruttati dal cinema di fantascienza. L’intera architettura del’opera – e qui  scatta l’incredulità anche dello spettatore di bocca buona - si basa sulla inverosimile capacità umana di competere in campo informatico con una razza aliena in grado di affrontare viaggi interstellari. Comunque, digerito il surreale assunto, il film diventa godibile e divertente. Will Smith contribuisce non poco a rendere il tutto più gradevole con una recitazione dinamica, ma ancora lontana dal carattere istrionico delle sue interpretazioni successive.

L’anno dopo arriva uno dei più riusciti lungometraggi di fantascienza degli anni ’90, Man in Black (1997) di Barry Sonnenfeld. L’enorme - e meritato - successo del film trasforma il nostro eroe in una star planetaria. Big Willy è straordinario, a partire dalla spettacolare scena iniziale nella quale dimostra come un giovanotto prestante e ben allenato possa inseguire a piedi un alieno dotato di poteri sovrumani. Tutto è perfetto, dalla mimica facciale all’ironia con la quale affronta le tipiche situazioni buddy-buddy con il collega Tommy Lee Jones. Con quest’ultimo si innesca un meccanismo perfetto… I dialoghi sono brillanti e irresistibili, come quelli della commedia sofisticata anni ’30. I due coprotagonisti reggono la scena in modo magnifico, quasi esclusivo, e relegano nell’ombra gli altri personaggi. Nessuno, infatti, ricorda la protagonista femminile di questo film così come del suo riuscito sequel, Men in Black II, diretto nel 2002 ancora da Barry  Sonnenfeld.

Lo stesso regista nel 1999 firma la trasposizione cinematografica della serie TV Wild Wild West , di grande successo negli anni ’60. Ma se nel 1965 ad interpretare il capitano James T. West è il WASP Robert Conrad, alla fine del millennio l’agente del governo USA

diventa nero e Will Smith gli presta faccia e fisico. Non bisogna stupirsi di ciò: ad Hollywood il politically correct è legge e un protagonista – che già attira al cinema un nutrito stuolo di fans - appartenente ad una minoranza è ben visto. In tempi più recenti, per fare un esempio, lo Skorpio di Battlestar Galactica ha addirittura cambiato sesso (sic!) rispetto al personaggio della serie originale.

Tornando al film, un improbabile steampunk d’ambientazione western, il nostro eroe fa il suo dovere alla grande dominando la scena dal primo all’ultimo fotogramma a scapito del sia pur valido Kevin Kline. Tra le molte e conturbanti bellezze di contorno spicca la messicana Salma Hayek, all’epoca non ancora sex symbol planetario.

Per un lustro Big Willy si dedica ad altri generi, inanellando ottime interpretazioni. Per Alì del 2001, ad esempio, riceverà la nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. Ma nel 2004 torna alla fantascienza con I Robot, diretto da Alex Proyas. Nonostante i mezzi economici profusi, il film rischia di non convincere, discostandosi parecchio dai racconti di Isaac Asimov cui è ispirato. Le esigenze della produzione sono sempre preminenti e spingono il regista a scelte che lasciano perplessi i fans… Così la Dottoressa Susan Calvin, bruttina ed insignificante nella versione letteraria, diventa sul grande schermo la

super sexy Bridget Moynahan. Eppure il nostro eroe riesce nel miracolo, contribuendo in modo determinante alla riuscita di  quello che poteva trasformarsi nell’ennesima “americanata” e che  invece diventa un solido e convincente film di SF facendosi guardare con piacere e risultando tutt’altro che banale.

A questo punto la carriera dell’attore americano entra in una nuova fase. La critica, da almeno un lustro, non ha più dubbi sulle sue doti interpretative. E’ il momento dei ruoli maturi… Il primo film americano del nostro Gabriele Muccino, La Ricerca della Felicità (The Pursuit of Happyness) del 2006 vede il nostro beniamino impegnato in un difficile ruolo paterno. Ed è ancora successo.

Il 2007 è l’anno di I Am a Legend diretto da Francis Lawrence e terza trasposizione dell’omonimo romanzo di Richard Matheson apparso nell’ormai lontano 1954. Qui Will Smith deve misurarsi con i due giganti che lo hanno preceduto nel ruolo del sopravvissuto Robert Neville: Vincent Price, che lo interpreta in L’ultimo uomo della Terra (1964) di Ubaldo Ragona, e Charlton Heston che lo ripropone nel 1971 in The Omega Man (1975: Occhi bianchi sul Pianeta Terra) di Boris Sagal. Il compito sarebbe arduo per chiunque, ma Big Willy si destreggia ancora una volta da par suo regalando agli appassionati – compresi gli adolescenti cui è dedicata la componente horror del film – una ulteriore prova da grande attore  ed affrontando la cinepresa in un “a solo” che dura per quasi tutta la proiezione.

E siamo arrivati ad oggi, cioè al momento in cui le sale cinematografiche programmano Hancock di Peter Berg. Questa volta la fantascienza è presente con il sottogenere “super eroi”, quello che negli ultimi anni ha garantito i migliori incassi. Ma stavolta non siamo di fronte ad un boy scout come l’Uomo Ragno, ad un duro di vecchio stampo come Wolverine e men che meno al bel tenebroso e glamourous  Batman. No. Il povero Hancock è maldestro, asociale, alcolizzato, scurrile, sciatto, svogliato e – la cosa peggiore che possa capitare ad un superman – mal visto dalla gente… Insomma un disastro vivente che per risollevare la propria immagine deve ricorrere ad un consulente… Ma poi finisce per innamorarsi della moglie di quest’ultimo.

Diciamo che il film nel complesso non mantiene quello che la sua prima parte promette, quando cioè Will Smith riesce a interpretare mirabilmente un afroamericano disadattato e solitario per via delle sue peculiari capacità. Poi il turbine degli effetti speciali in computer grafica prende il sopravvento e quanto c’era di originale nelle prime scene viene seppellito sotto la greve coltre dei SANI VALORI AMERICANI. Ma il segno rimane e Big Willy è sempre grande.

Mi chiedo spesso: fra trent’anni, quando guarderemo al cinema di inizio millennio, come facciamo oggi a quello degli anni ’70, chi ricorderemo come eroe “specifico“ della fantascienza cinematografica?

Non Keanu Reeves, sia pure interprete di grandi film come Jonny Mnemonic e Matrix.

Non l’immenso Robin Williams, troppo poliedrico e alla fin fine più interprete di un fantastico spirituale piuttosto che tecnologico. Come detto in precedenza, neanche Jude Law che comunque - consentitemi di azzardare una profezia – finirà per diventare un oggetto di culto come pochissimi attori nella Storia del Cinema.

Come simbolo della SF sul grande schermo verrà ricordato Will Smith che, settantenne, meriterà ancora l’affetto di milioni di fan dedicandosi a generi un po’ meno spericolati ma, c’è da scommetterci, con la consueta bravura. O forse no, perché il lupo perde il pelo ma non il vizio e forse il nostro saprà ancora regalare momenti esaltanti alla fantascienza a dispetto dei capelli bianchi e dell’avanzare dell’età.