Parapsicologia e Aldilà nella Fantascienza

 

di Enrico Di Stefano

 

La fantascienza dei nostri giorni affronta una gamma assai variegata di temi che prendono spunto, tranne sporadiche eccezioni, dalla tecnologia. In questo ambito, di gran lunga dominante, si incontrano alieni, robot, astronavi e viaggi nel tempo. Tuttavia, fino a pochi decenni orsono, anche i poteri della mente destavano un forte interesse e ispiravano romanzi e film di successo. In queste opere la figura chiave era il telepate. In tempi recenti questo tipo di Science Fiction ha perso smalto e ha finito per essere relegato in un cantuccio. Un terzo filone, poco sfruttato ieri come oggi, forse perché richiama più il genere fantastico in senso lato che la pura fantascienza, è quello che confina col sovrannaturale fino al punto di chiamare in causa, addirittura. l’aldilà.

Scendendo nel dettaglio, non mi sembra azzardato affermare che la classica Hard SF, nonostante la veneranda età, goda ancora di buona salute, non sia mai passata di moda e costituisca a tutt’ora il perno attorno al quale ruota il genere. L’innerspace, tanto caro alla New Wave fiorita nel Regno Unito degli anni ’60 e che tanta vitalità ha dato al genere, sembra irrimediabilmente passato in subordine. Le macchine, capaci di pensare o di attraversare gli spazi siderali, popolano sempre più l’immaginario di un pubblico che, se parliamo di grandi numeri, si è progressivamente spostato dalla letteratura all’intrattenimento. Quest’ultimo, soprattutto perché fruito principalmente al cinema o in casa su schermi di grandi dimensioni, privilegia quella componente spettacolare che viene esaltata da tecnologie e architetture avveniristiche. La scelta narrativa che punta sul “meccanismo” a discapito della mente si è consolidato, oltre che nella narrativa, anche nel fumetto e nel cinema d’animazione. In entrambi i casi il ricorso al “costrutto materiale”, diventato onnipresente e pervasivo, viene ampiamente sfruttato e reso appetibile da una grafica digitale che rasenta il miracoloso. Ma non è sempre stato così.

 

La Mente nella Fantascienza

 

Fino ad alcuni decenni fa sono stati l’esplorazione della mente – non necessariamente umana – e lo studio delle sue ipotetiche potenzialità a dare linfa ad alcune delle idee più interessanti partorite dalla Science Fiction. Ma andiamo con ordine.

L’epoca d’oro di questo tema portante, molto vitale per un quarantennio, può essere individuata nel periodo che va dal 1970 al 1980, ma le sue basi sono state gettate nei decenni precedenti, soprattutto sul finire di quella che, venendo incontro agli amanti delle classificazioni, ricordiamo come Golden Age. Ancora a metà degli anni ’80 si è visto qualcosa di interessante, ma si è trattato di quelli che potremmo definire “gli ultimi fuochi”. Naturalmente, ci sono state delle eccezioni ma l’interesse per questo approccio sembra essere via via scemato e poche sono state le opere di rilievo, inseribili in questo filone, apparse tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.

Per dirla in soldoni, possiamo affermare che le cose più interessanti in questo ambito si sono viste tra il 1945 e il 1985. Perché?

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’interesse per tutto ciò che veniva collegato all’esplorazione delle facoltà mentali diventò particolarmente vivo nei paesi occidentali.

Le basi vennero gettate nel 1938 quando il chimico svizzero Albert Hofman sintetizzò il dietilamide dell’acido lisergico (LSD). Cinque anni dopo, lo stesso scienziato scoprì le proprietà allucinogene della sostanza. Questa divenne, nel mondo della psicoterapia, una sorta di Santo Graal grazie al quale si sperava di contrastare una vasta gamma di patologie e di aprire nuove vie alla ricerca pura.

 

Ma non durò a lungo. La comunità scientifica mise al bando l’acido lisergico che, come strumento di cura, cadde in disgrazia per mezzo secolo. Tuttavia, il segno rimase e le menti creative, in qualche modo, vennero ispirate dalle ricerche intraprese per esplorare la psiche grazie alla chimica. Nel 1954 apparve in libreria The doors of perception (Le porte della percezione) di Aldous Huxley, saggio nel quale lo scrittore britannico raccontava le esperienze personali legate all’assunzione di Mescalina. A partire dagli anni ’60 i principali musicisti della scena rock internazionale sembrarono trovare la principale fonte di ispirazione nelle droghe tanto che una corrente musicale tra le più importanti è detta ancora oggi, appunto, psichedelica. Questa tendenza non rimase confinata nell’ambito della cultura giovanile, ma arrivò a interagire con altri ambiti culturali.

Nel 1975, il grande filosofo francese Michel Focault, sperimentò personalmente l’LSD durante un viaggio negli Stati Uniti.

Ma non fu solo la psichedelia a tenere banco. Più o meno in contemporanea, la Parapsicologia entrò prepotentemente di scena. Prendendo le mosse dall’ormai (quasi) defunto Spiritismo, questa scienza alternativa si fece strada persino nelle università tanto da essere riconosciuta nel 1969, dalla American Association for the Advancement of Science (AAAS).

Si intraprese lo studio dei limiti inesplorati della mente, tema che appassionò l’uomo della strada e ispirò ogni genere di artisti che diedero vita a una pletora di opere. Tutti parlavano di ESP (Extra Sensorial Perceptions) e proprio ESP è il titolo di uno sceneggiato televisivo di grande successo, diretto da Daniele D’Anza e interpretato da Paolo Stoppa, che venne trasmesso sul Programma Nazionale RAI nel 1973. Andando al di là dell’umano, le ricerche condotte dallo statunitense Cleve Backster sulla sensibilità delle piante ispirarono il romanzo Giungla domestica (1975) di Gilda Musa dal quale venne liberamente tratto lo sceneggiato RAI La Traccia Verde (1975) diretto da Silvio Maestranzi e interpretato da Sergio Fantoni. L’anno dopo, nel 1976 venne prodotto da Gerry Anderson Fantasma su Alpha, drammatico e memorabile episodio della prima stagione di Spazio 1999. Anche in questo caso apparivano delle piante che riuscivano a comunicare “mentalmente” con un giovane botanico.

Nel 1980, con la regia del britannico Ken Russell, venne distribuito nelle sale Stati di allucinazione (titolo originale Altered States). La storia era incentrata sugli esperimenti condotti da un ricercatore, interpretato da William Hurt, che sperimentava personalmente gli effetti combinati di una vasca di deprivazione sensoriale e dell’assunzione di mescalina. Lo studioso si esponeva al rischio di scivolare nella follia a causa di un viaggio mentale che ne faceva regredire la coscienza da quella di Homo Sapiens fino al livello di australopiteco.

Questo nella finzione cinematografica. Nella realtà, laboratori di parapsicologia vennero aperti presso numerose università, tra le quali quella di Princeton e quella della California.

Un esempio di quanto fosse alto il credito accordato alla disciplina lo fornisce lo svolgimento del Campionato del Mondo di Scacchi del 1978. In finale si sfidarono due assi: l’apolide Viktor Korčnoj e il sovietico Anatolij Karpov. Ebbene, ciascuno dei team di supporto ai due contendenti comprendeva un parapsicologo il cui compito era quello di “proteggere” il flusso dei pensieri del campione che gli era stato affidato.

La materia, nel pieno degli anni ’70, era ormai tanto popolare da trasformare in una sorta di gioco di società uno strumento sperimentale come le Carte Zener.

 

Queste ultime venivano utilizzate in un discutibile ma esilarante esperimento dal dottor Peter Venkman (Bill Murray) che se ne serviva per far colpo su una avvenente studentessa universitaria nella scena iniziale di Ghostbusters di Ivan Reitman (1984).

Tuttavia, le sequenze successive del film mostravano come proprio a metà degli anni ‘80, la parapsicologia avesse perso lo slancio iniziale finendo per essere considerata una inutile zavorra negli ambiti accademici. Infatti, i risultati ambigui, se non inconcludenti, degli esperimenti eseguiti applicando rigorosamente il metodo scientifico finirono proprio in quel periodo per scoraggiare prima gli enti di ricerca e poi gli investitori. L’interesse del grande pubblico, dopo anni di autentico entusiasmo, si affievolì progressivamente fino a spegnersi quasi del tutto.

Telepatia nella Fantascienza

Strettamente legata alla parapsicologia, la telepatia divenne davvero importante nella fantascienza negli anni del dopoguerra con tre romanzi, che sono delle pietre miliari per il genere: Foundation and Empire (1945) di Isaac Asimov pubblicato in Italia col titolo “Il crollo della galassia centrale”, The demolished man (1953) di Alfred Bester, da noi noto come L’uomo disintegrato e The Midwich Cuckoos (1957) di John Wyndham. Da quest’ultimo, conosciuto nel nostro paese come I figli dell’invasione, è stato tratto nel 1960 un film di culto: Village of the damned di Wolf Rilla, distribuito in Italia col titolo Il villaggio dei dannati.

Particolarmente iconica per la fantascienza è la figura del Mulo, formidabile telepate capace di influire sulla storia galattica nell’appena citato romanzo del Buon Dottore. Si tratta di un personaggio, molto ben delineato dal punto di vista psicologico, in cui convivono straordinarie doti mentali e gravi deformità fisiche. È sicuramente un antagonista – e, alla fine, viene neutralizzato – ma resta una figura memorabile tra quelle della Science Fiction moderna.

Un altro romanzo avvincente e ben riuscito, anche se meno noto, è Star Rangers (1953) di Andre Norton dove il potere che consente di controllare popoli e pianeti è legato tanto alla tecnologia quanto alla telepatia. Interessante, in quest’opera della prolifica e decisamente sottovalutata scrittrice inglese, è l’invenzione di una “scala decimale della sensibilità” per la quantificazione dei poteri mentali. Infatti, lo scontro finale vede l’eroico protagonista, custode delle onorevoli tradizioni della Pattuglia Spaziale, dotato di un valore 6,6, avere la meglio sullo spregiudicato villain in possesso di un più modesto 5,9.

Nel 1964 viene pubblicato nel Regno Unito The Whole Man di John Brunner che in questo romanzo, in realtà riedizione di tre suoi racconti della fine degli anni ’50, narra le gesta di Gerald Howson, altra figura di telepate. Si tratta di un’opera, assai apprezzata dal pubblico e dalla critica, che ha saputo ritagliarsi meritatamente un posto nella gloriosa storia della SF britannica.

Howson, come il Mulo, è dotato di un sorprendente talento naturale, ma non rappresenta un caso isolato: nella società descritta dall’autore inglese i telepati sono ben noti alle autorità e possono utilizzare le loro facoltà a scopo curativo. Nella galassia asimoviana, invece, agisce occultamente la Seconda Fondazione la cui élite è costituita da persone dotate di eccezionali poteri mentali utilizzati per ricondurre alla civiltà una comunità umana sparsa su migliaia di pianeti.

Prima di andare avanti è doveroso passare all’ambito cinematografico e ricordare due opere memorabili. La prima è l’inquietante The Medusa Touch (1978) di Jack Gold in cui un uomo, magistralmente interpretato da Richard Burton, non esita ad utilizzare i suoi tremendi poteri mentali per scopi distruttivi.

La seconda è un B-Movie piuttosto duro, sia visivamente che per i temi trattati, ormai diventato cult: Scanners (1981) del grande e visionario David Cronenberg.

Ma siamo ormai agli anni ’80, si afferma prepotentemente il Cyberpunk e si conferma il favore con il quale il grande pubblico guarda alle nuove frontiere della tecnologia. Questa, legata a doppio filo al tumultuoso sviluppo dell’informatica, non sembra lasciare molto spazio ai poteri mentali che finiscono per passare in subordine con poche, seppur riuscite, eccezioni.

Alcune di queste, passando al fumetto, la dobbiamo a Nathan Never, longeva collana bonelliana ideata da Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna. Felicemente approdata in questo 2021 al trentesimo anno di pubblicazione, si è molte volte occupata di telepatia. Di questo potere sono più o meno forniti parecchi dei personaggi che vi appaiono. Non si tratta necessariamente di individui isolati come il potentissimo Gabriel, di cui si parla diffusamente nel n° 30 del 1993, L’Enigma di Gabriel, oppure come l’eminenza grigia Mister Alfa. A volte sono organizzati in associazioni segrete. Ne è un esempio la Sorellanza Telepate con cui l’agente del futuro si deve misurare nel n° 240 del 2011, Il Tempio delle Telepati.

In entrambi i casi, come spesso succede nell’universo in cui agisce l’Agenzia Alfa, sbalorditivi poteri della mente convivono con uno sfrenato sviluppo tecnologico.

Va ricordato comunque che la serialità di una testata che va felicemente avanti da decenni ha necessità tali da “forzare” gli autori all’esplorazione di tutti gli ambiti possibili utilizzando commistioni di temi “tradizionali” e temi “inconsueti”.

 

L’aldilà nella Fantascienza

 

Al tema parapsicologico se ne è affiancato un altro, a volte intrecciandovisi: la speculazione sulla morte e sull’aldilà. La cosa è perfettamente comprensibile nel caso dello Steampunk, soprattutto perché inquadrato cronologicamente nella seconda metà del XIX secolo e geograficamente nell’Inghilterra Vittoriana. Tempo e luogo in cui fioriva, come già detto, un forte interesse per l’occulto e lo spiritismo. Ne è un esempio il romanzo Homunculus (1986) di James Blaylock che tra i tanti temi che affronta comprende il tentativo di resuscitare i morti.

Sulla possibilità di varcare le soglie della nostra realtà per entrare in una sorta di “Regno degli Inferi” che richiama l’immaginario classico è incentrato Walt and Emily, terzo episodio in The Steampunk Trilogy (1995) di Paul Di Filippo. Ne sono protagonisti i poeti Emily Dickinson e Walt Withman che, grazie a un intruglio alchemico, intraprendono un viaggio nella Terra dei Morti, misteriosa dimensione al di là del tempo e dello spazio.

Se qui si ricorre a una pozione per viaggiare in una dimensione popolata dai morti, in altri casi si fa uso della tecnologia.

Succede nel racconto L’ultimo fantasma (titolo originale The Last Ghost) di Stephen Goldin apparso nella splendida antologia Protostars (1971) curata da David Gerrold e edita da Longanesi in Italia nel 1977 col titolo Protostar (Fantapocket n° 11).

Di ben più ampio respiro è la The Night's Dawn dell’inglese Peter H. Hamilton, nota in Italia come L’alba della notte, una trilogia che rappresenta una delle cose migliori prodotte dalla Science Fiction nella seconda metà degli anni ’90. Pubblicata da Mondadori che l’ha suddivisa in diversi volumi di URANIA, racconta la penetrazione dei morti nel nostro mondo. Queste anime irrequiete e predatrici, ferocemente decise ad appropriarsi del corpo dei vivi, si introducono nei pianeti colonizzati dagli umani diffondendosi come una incontrollabile infezione. Si tratta di un’opera assai riuscita e molto avvincente che, avendo messo d’accordo pubblico e critica, è stata considerata una delle migliori espressioni della fantascienza britannica di fine millennio.

Tra i classici, ne ricordiamo due che, addirittura, nelle loro edizioni italiane richiamano esplicitamente “l’altro mondo”: Anonima aldilà (titolo originale Immortality delivered, 1959) di Robert Sheckley nel quale la scienza umana ha dimostrato l’immortalità dell’anima e, entro certi limiti, può riportare alla vita i defunti; La voce dell’aldilà (titolo originale Inside Job, 2005) di Connie Willis nel quale viene chiamato in causa il giornalista Henry Louis Mencken che, nella realtà storica della prima metà del XX secolo, è stato un instancabile smascheratore di sedicenti maghi, medium e occultisti in cattiva fede.

I morti sono stati riportati in vita, tra gli altri, da Philip José Farmer con Il fiume della vita (1971) e, in tempi più recenti, da Ken MacLeod con The Corporation Wars (2016). Ma, per quanto riuscite e nonostante il successo di pubblico, queste ed altre opere costituiscono altrettante eccezioni che non sembrano aver dato vita a un filone prolifico.

A quanto pare, anche l’aldilà non ispira se non di rado l’immaginario fantascientifico.

Uscendo dall’ambito letterario e passando al piccolo schermo, va ricordato un episodio di Zaffiro e Acciaio (1979 – 1982). Si tratta di The Railway Station (Un fiore d’ottobre nell’edizione italiana) nel quale i due agenti temporali che danno il nome alla serie TV si trovano a confrontarsi con le anime rancorose di alcuni militari morti durante le due guerre mondiali.

Rami secchi nella Fantascienza?

 

La fantascienza, pur proiettandosi nel futuro e pur essendo votata all’anticipazione, ha sempre trovato linfa nelle conoscenze scientifiche e tecnologiche dominanti al momento della creazione di ciascuna opera appartenente al genere. Così è stato per il Frankenstein di Mary Shelley, testimone del crescente interesse che, all’inizio del XIX secolo, circondava le ricerche sull’elettricità. Così è stato per il Neuromante di William Gibson, nella seconda metà del XX secolo, che ben si è inserito nel clima di euforia generale che ha accompagnato il travolgente sviluppo dell’informatica.

Questi due sono esempi di “rami vitali” della fantascienza che ancora oggi danno lo spunto, spesso intrecciandosi, a un’infinità di opere validissime. Ad esempio, sul sempreverde complesso di Frankenstein si basa il bellissimo Ex Machina (2015), lungometraggio diretto da Alex Garland. Ma il film, trattando di automi e quindi di intelligenze artificiali, non avrebbe ragion d’essere se non partisse dal presupposto di uno stato avanzatissimo dell’ingegneria informatica e della robotica. Quest’ultima, nuova frontiera della tecnologia, nella Science Fiction è passata dalla fase “fondante” di Asimov a quella “militante” che da Rudy Rucker in avanti e ci ha accompagnato ai nostri giorni.

Un presente che ci vede ormai abituati a discutere con una macchina.

Ma oltre a quelli appena citati, vitali perché alimentati dall’onnipresente tecnologia, ci sono anche dei rami che potremmo definire “secchi”. Alla parapsicologia, morta d’inedia negli anni ’80 per l’inconsistenza delle relative ricerche, non crede quasi più nessuno e sempre meno se ne trova nella fantascienza. L’aldilà sembra ancor meno interessante, almeno agli occhi del troppo frettoloso uomo moderno.

Se coniassimo un nuovo slogan, ad esempio Technology Rule! potremmo definirlo rappresentativo dello stato dell’arte della Science Fiction mondiale? Direi di sì. In un mondo sempre più lontano dalla spiritualità e sempre più sedotto dal gadget tecnologico, spesso ostentato come status symbol, non c’è da stupirsene. Le cose cambierebbero se la Scienza, sotto la spinta di scoperte che ad oggi non si intravedono, riuscisse ad acquisire nuove conoscenze tali da aprire strade inesplorate verso l’ignoto, verso nuovi territori.

Spazi tali da includere facoltà mentali sconosciute e stati della coscienza al di là di ciò che rientra nell’esperienza comune.

In pratica ciò avverrebbe solo se la Fisica, con un sorprendente e inatteso balzo in avanti, riuscisse inopinatamente a sconfinare nella Metafisica.

Che dire? Restiamo in attesa con fiducia, la realtà finisce puntualmente per superare la fantasia come noi appassionati di fantascienza sappiamo fin troppo bene.