La Fantascienza nei Video Musicali

 

di Enrico Di Stefano

 


I rapporti tra musica e fantascienza non sono pochi e neanche recenti, essendo nati quando la SF ha cominciato a necessitare di un accompagnamento musicale, quindi attraverso il Cinema prima e la Televisione poi. Tale commistione ha dato spesso risultati notevoli. Basti pensare al potere evocativo delle colonne sonore che a partire dagli anni ’20 hanno accompagnato film come Metropolis o Aelita; oppure di quelle che, solo a sentirne poche note, ci richiamano istantaneamente a serie televisive di culto come Star Trek o UFO.

Se dovessimo sviscerare tale materia, in tutti i suoi aspetti, avremmo materiale sufficiente a riempire un volume formato vocabolario. Non va dimenticato, ad esempio, che decine di gruppi  di heavy metal si ispirano a personaggi o saghe della SF nella realizzazione di dischi che, proprio per essere “a tema”, vengono definiti concept album.

Questa relazione può funzionare anche nella direzione opposta.

E’ il caso di alcuni dei migliori racconti di Valerio Evangelisti i cui titoli riprendono il nome di band metal: Sepultura, Panter, Metallica e via dicendo.

 

E’ mio intendimento trattare soltanto un aspetto particolare di questa intrigante liason: quello che vede l’iconografia della fantascienza al servizio della promozione dei brani musicali. Tale operazione, che da diversi anni viene condotta inserendo suggestioni sci-fi nei videoclip, rappresenta, in certo senso, un capovolgimento del tradizionale rapporto musica-fantascienza che vedeva la prima al servizio della seconda.

Infatti le major discografiche sanno bene come centrare il target al quale vogliono indirizzare il loro prodotto. Pertanto si affidano a registi che realizzano video il cui effetto visivo viene affidato ad immagini che attingono a piene mani alla tradizionale iconografia della fantascienza: astronavi, creature extraterrestri, mondi alieni. Qualche volta, però, la creatività e l’inventiva sono tali che ci scappa il gioiello.

Quella che vi propongo è una breve – e per forza di cose non esaustiva – storia dei videoclip di fantascienza.

Tutto ebbe inizio esattamente quaranta anni or sono. L’anno è l’ormai lontano 1966; il luogo è la vecchia Inghilterra.

 

Gli anni ’60: la preistoria

 

In quanto generi popolari coevi, la fantascienza e la musica POP non potevano coesistere a lungo senza entrare in relazione. All’inizio il contatto è fortuito, ma grazie alla creatività e alle intuizioni di Jerry Anderson l’esordio è pirotecnico. Nel 1966 arriva sugli schermi il lungometraggio Thunderbirds are go! del quale sono protagoniste le marionette elettroniche che hanno deliziato da bambini quelli che di noi hanno passato la quarantina. Ebbene vi appaiono, fedelmente riprodotti in forma di pupazzi, Cliff Richard e gli Shadows che eseguono una trascinante versione di Shooting Star. E’ il primo vero videoclip di ambientazione fantascientifica. Curatissimo e intriso di humor britannico, è un piccolo capolavoro: il giovane astronauta Alan Tracy sogna di trascorrere una serata romantica con la matura ma irresistibilmente fascinosa Lady Penelope Creighton Ward. L’ambientazione onirica è molto originale così come alcune soluzioni scenografiche che risultano addirittura psichedeliche.

Comunque fino agli anni ’60 è il genere melodico, pochissimo adatto a “fughe in avanti”, a farla da padrone. Ma i sixties portano nella musica nuove istanze, nuove ispirazioni, nuove tematiche. Tra queste ultime l’estraniamento e l’alienazione di fronte alla società, sensazioni che stanno alla base dei primi lavori di un’artista al quale la SF deve moltissimo: David Bowie. Nel 1969 pubblica un singolo che sarà destinato a fare epoca: Space Oddity.

 

Gli anni ‘70: il pioniere

 

David Bowie è una sorta di predestinato, nel senso che diventa ben presto l’incarnazione  dell’uomo venuto dalle

stelle. L’aspetto della rock star britannica, magro tanto da apparire un anoressico ante litteram, è di per sé alieno. Questa caratteristica, unita alle non comuni doti interpretative, spinge il regista Nicholas Roeg ad affidargli nel 1976 la parte del protagonista – l’alieno Newton – nel film L’uomo che cadde sulla Terra, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore inglese Walter Tevis. Ma David Bowie, all’epoca, aveva già dato un suo personale e pionieristico contributo alla fantascienza. Nel suo album Hunky Dory del 1971 era già presente un brano dal titolo Life on Mars? e l’anno successivo apparve quello che può essere considerato il compimento del “progetto alieno” dell’artista The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars comprendente una hit come Starman. Ebbene è proprio il Duca Bianco a interpretare nel 1973 Ziggy Stardust And The Spiders From Mars: the motion picture, film diretto da D.A Pennebaker che documenta l’ultima esibizione del nostro in panni alieni  (ma con il suo look d’allora bastava pochissimo per ottenere l’effetto).

Dopo questa pur notevolissima opera, non se ne realizzano altre di pari rilievo. Uniche eccezioni alcune riprese televisive che accompagnano le star della musica dance che si ispirano a suggestioni fantascientifiche come i francesi Rockets, guidati da Christian Le Bartz, che nel 1976 infiammano l’Europa con la loro Future Woman e la bella inglese Dee Dee Jackson, interprete nel 1978 di Automatic Lover.

Ancora nel 1978 i tedeschi Kraftwerk raggiungono i vertici delle classifiche con We are the robots. I quattro musicisti sperimentano moltissimo, non solo dal punto di vista sonoro, ma anche sotto il profilo dell’immagine (filmati e sessioni fotografiche).

 

Ma sarà il nuovo decennio a portare con sé una novità determinante e ciò accadrà con la nascita di un Network rivoluzionario.

 

Gli anni ’80: il decennio perduto

 

Nel 1981 negli Stati Uniti, dove tutto accade con un lustro d’anticipo rispetto al resto del mondo, nasce un network televisivo specializzato destinato a fare storia: Music Television, ovvero MTV. La peculiarità della nuova rete televisiva sta nel tipo di materiale che viene trasmesso. Si tratta, nella quasi totalità, di brevi filmati della durata di tre – quattro minuti che accompagnano con le immagini un brano musicale. Se all’inizio questi brevi videoclip, poi chiamati universalmente video, hanno la funzione di promuovere una canzone, nel volgere di pochi anni acquistano dignità propria trasformandosi in opere d’arte a se stanti. Anche perché finiscono per diventare palestra per giovani registi di talento e perfino grandi nomi non disdegnano di cimentarvisi.

Gli ’80, che vedono l’affermazione di MTV su scala planetaria, sono anni buoni per la fantascienza che si esprime in modo innovativo con il Cyberpunk in letteratura e sforna alcuni film di culto come Blade Runner e Dune, quest’ultimo interpretato dalla rockstar più autorevole del decennio, Sting. Ma i creativi dell’epoca non sembrano particolarmente ispirati dalla fantascienza. Sono pochi i video legati al genere e, tranne due casi, non appaiono particolarmente interessanti. Il primo - e il migliore in assoluto – è Let me go degli Heaven 17, un brano risalente al 1982. Nel video i membri del gruppo si aggirano per una Londra disabitata, immersa nell’atmosfera irreale di piazze e strade lungo le quali il vento trascina cartacce e spazzatura. Si tratta di un palese omaggio a L’ultima spiaggia, l’inquietante film diretto nel 1959 da Stanley Kramer.  Il secondo è Together in electric dreams (1984) interpretato da Phil Oakey e tema portante di un film sottovalutato, Electric Dreams. Nel video, un PC, a causa di un corto circuito, prende coscienza di sé e diviene una vera e propria intelligenza artificiale. Sempre nel 1984 è la volta del gruppo egemone del decennio, i Duran Duran, che scala le classifiche internazionali con Wild Boys. Il brano musicale diventa un tormentone e in Italia assurgerà a inno ufficiale dei “paninari”, ma il videoclip è un mezzo passo falso. Realizzato attingendo a piene mani nel serbatoio iconografico cyberpunk – postatomico, è appena una scontata coreografia non più originale di quelle che la RAI propinava (e continua a propinare) nella fascia nazional popolare del sabato sera.

Nel 1986 gli Art of Noise pubblicano il singolo Paranoimia. Il video che lo accompagna ha un certo gusto cyberpunk. Vi appare infatti Max Headroom, il primo “attore virtuale” realizzato da Annabel Jankel e Rocky Morton mediante un mix di trucchi tradizionali e rudimentali (nell’ottica odierna) tecniche di computer grafica.

 

Gli anni ’90: la strada giusta

 

I primi anni '90 sono più prodighi di opere rispetto al decennio precedente, ma quella che manca è l'originalità. Ci si limita a saccheggiare il "già visto", ricorrendo a soluzioni ampiamente sperimentate. Un caso particolarmente felice è rappresentato da un video del 1991 dei Guns n' Roses, You could be mine. Nel filmato i cinque rocker statunitensi vengono braccati nientemeno che da Arnold Swarzenegger che, per l'occasione, riveste i panni del robot assassino nei quali tanto successo aveva riscosso interpretando l'implacabile Terminator. La minestra è un po’ riscaldata, ma l’ironia che traspare tra le righe risolleva l’insieme.

La metà degli anni ’90 rappresenta uno spartiacque fondamentale per la fantascienza nei video musicali. Le tecniche di computer grafica si affinano e i costi per la realizzazione dei filmati si riducono creando l’indispensabile premessa alla straordinaria fioritura creativa del nuovo millennio.

Ma già la seconda metà del decennio è segnata da un paio di opere degne di nota.

La prima è rappresentata da quello che – ancora oggi - può essere considerato il miglior videoclip Sci - Fi passato per le reti specializzate: All is full of love di Bjork, apparso nel 1997. Le non comuni doti interpretative dell'artista finlandese - che non per nulla si aggiudicherà nel 2003 una Palma d'Oro al Festival di Cannes come migliore attrice - contribuiscono a fare del video un vero capolavoro. La performer interpreta un robot che, ancora sulla catena di montaggio, bacia e abbraccia un suo simile. Tutto è colmo d'amore, appunto. La bellezza dell'opera non si limita, ovviamente, alla perfezione delle immagini che da qualche anno consentono le tecniche della computer grafica. Colpisce l'uso della luce, a volte abbacinante, che contribuisce a rendere palpabile la freddezza della fabbrica robotica. Questo consente al regista Chris Cunningham di esprimere con efficacia il contrasto stridente tra la fredda tecnologia e il calore dei sentimenti.

Nel 1999 è la volta dei Korn con il loro Make me bad. Palesemente ispirato all’Alien di Ridley Scott, il video vede i membri del gruppo prigionieri di una base segreta nella quale vengono condotti raccapriccianti esperimenti. Nel corpo delle cavie umane viene inserito un parassita che con i suoi movimenti infligge atroci dolori agli ospiti. Guest star del filmato è Brigitte Nielsen il cui inquietante fascino la rende assai credibile nel ruolo di scienziata e carnefice.

 

Il nuovo millennio e il trionfo della computer grafica

 

Applicata alla grafica, la tecnologia informatica all’inizio del XXI secolo non è onnipotente, ma ci arriva vicino. Poiché, seguendo il trend imposto dall’industria cinematografica, la fantascienza sembra essere dipendente dagli effetti speciali, la disponibilità di questi ultimi a costi contenuti facilita la vita ai registi di videoclip che vogliono servirsi di suggestioni Sci-Fi.

Una delle strade percorse, per realizzare opere di sicuro effetto, è ispirarsi a noti film di fantascienza. Lo fanno in molti, spesso con risultati eccellenti.

Gli anglo/svedesi Placebo nel 2000 travolgono le classifiche europee con un album di grande impatto: Black Market Music. Il primo singolo che ne viene estratto, lo stesso anno, è Slave to the wadge, accompagnato da un video palesemente ispirato al magnifico GATTACA di Andrew Niccol. Nel 2001 la band propone Special K e anche in questo caso il video che lo accompagna ha illustri ascendenze: ripropone, infatti, una rilettura di Viaggio allucinante, il bel film diretto da Richard Fleischer e scritto da Isaac Asimov.

Ancora nel 2001 è la volta dei No Doubt, gruppo americano che vanta come front woman la fascinosa Gwen Stefani. Il loro video Hella Good riprende le ambientazioni del Waterworld di Kevin Reynolds, in modo particolare la scena di inseguimento tra acqua scooter che nel film vede contrapposti Kevin Costner e Dennis Hopper.

Più che alla rilettura di famosi film di fantascienza, tuttavia, si preferisce il ricorso alla citazione e quest’ultima si generalizza negli anni successivi.

Nel 2002 appare Freeek, di George Michael, forse il video più spettacolare e ricco di citazioni: Contact, Blade Runner, A.I., Il Quinto Elemento, Specie Mortale e Robocop. Una festa per gli occhi dell’appassionato di Science Fiction. Nello stesso anno i Cranberries, guidati da Dolores O’Riordan, presentano This is the day, palese omaggio al film di fantascienza per eccellenza, 2001: a space odissey.

Il 2003 è l’anno del grande successo dei newyorkesi Strokes: il gruppo gode già di una certa considerazione, ma la fama planetaria arriva con 12:51. Il video che accompagna il brano, diretto da Roman Coppola, è ambientato nell’universo virtuale di Tron, il non fortunatissimo lungometraggio diretto nel 1982 da Steven Lisberger.

A questo punto – siamo all’inizio del 2004 – è chiaro che è nato un sottogenere a se stante. Se ne accorgono i programmatori di MTV Italia che domenica 11 Gennaio 2004 mandano in onda Sci-Fi Special Sunday, una curatissima antologia dei migliori video fantascientifici apparsi in un ventennio.

I tempi sono maturi per il salto di qualità: il videoclip come vera e propria opera di fantascienza. E il capolavoro arriva nella primavera del 2004 con Sing for Absolution degli inglesi Muse. Il video mostra un’astronave che decolla da un pianeta assediato dai rottami spaziali che costituiscono l’immondizia tecnologica accumulata in anni di missioni spaziali. Il viaggio si conclude con l’atterraggio su un pianeta devastato da guerre e inquinamento che alla fine  risulta essere la Terra. Il geniale leader della formazione, Mattew Bellamy, scrive la canzone prestando particolare attenzione alle forzature dello sviluppo scientifico e industriale che aveva già affrontato nel 2001 con l’inquietante Plug in Baby.

Se Sing for Absolution è il miglior risultato dai tempi di All is full of love, non sono mancati video decisamente dozzinali. Non nel “contenitore”, ma nel contenuto.

Assegno la palma del peggiore ad un lavoro apparso in contemporanea a quello dei Muse. Si tratta di She wants to move dei N.E.R.D. Anche qui ci sono un’astronave, lo spazio e una curatissima ambientazione futuristica, ma servono soltanto per accompagnare un brano dance e fare da sfondo al dimenarsi di una ballerina (di spettacolare bellezza, questo dobbiamo riconoscerlo).

Tra i due estremi ci sono molti prodotti intermedi, alcuni anche ben riusciti. Ne cito due: il primo è I believe in a thing called love dei Darkness (2003), reso spassoso dalla incontenibile vena istrionica del frontman Justin Hawkins che, armato di una notevole dose di humor britannico, si destreggia tra improbabili creature aliene che sembrano usciti da un B movie girato con mezzi di fortuna; il secondo è Digital Love dei francesi Daft Punk (2001), il cui video è uno splendido cartone animato realizzato nientemeno che da Leiji Matsumoto e che sfocerà due anni dopo nel musical Interstella 5555 del quale il maestro giapponese curerà le animazioni e i musicisti transalpini la colonna sonora.

E gli italiani? Nemmeno gli artisti di casa nostra disdegnano le suggestioni Sci-Fi nei loro video. Vi si cimentano molti degli artisti più noti: Eros Ramazzotti, Paola Turci, Massimo Di Cataldo, Piero Pelù, Caparezza, Flaminio Maphia. I migliori sono quelli realizzati da due gruppi napoletani. I 99 Posse, nel 2001, propongono Stop that train, primo video italiano realizzato in computergrafica. Si tratta di un lavoro che lascia trasparire un forte impegno politico, sociale e ambientalista da parte del gruppo i membri del quale, nel video, sono trasformati in entità che si battono contro la deriva apparentemente ineluttabile della società. La Direct2brain, diretta da Ascanio Malgarini, realizza il video in 3D: 4000 ore di lavoro per produrre 4 minuti e 25 secondi di filmato.

Nel 2005 i Planet Funk traggono dal loro album The Illogical Consequence due video molto interessanti: Stop Me e Everyday. Il primo, caratterizzato da forti suggestioni cyberpunk, vede come protagonista un robot che si aggira nella desolazione di una discarica cinese di personal computer. Il secondo mostra un astronauta, che si aggira in una città moderna e degradata, sconvolto da continue “distorsioni” temporali che lo vedono di volta in volta giovane e anziano.

In entrambi i casi si ottiene benissimo l’effetto “disturbante” che si voleva inserire in immagini che trattano delle forme di degrado della società moderna.

 

Conclusioni

 

Mentre scrivo (primavera 2006) le reti specializzate trasmettono Talk, un video dei Coldplay diretto da Anton Corbijn. Vi si vedono i membri del gruppo britannico che, appena sbarcati su un pianeta alieno, si ritrovano a fare i conti con un robot solo apparentemente amichevole. L’aspetto decisamente vintage dell’automa e la scenografia volutamente essenziale sembrano un palese omaggio alla fantascienza cinematografica della Golden Age.

Il video non è niente di eccezionale; è un lavoro onesto, gradevole pur se incapace di entusiasmare gli appassionati più esigenti. Ma è emblematico per la sua capacità di evocare immagini archetipiche della SF. Già perché il robot, il pianeta alieno con le sue insidie, la tecnologia futuristica sono ormai suggestioni ricorrenti della società post industriale.

E non sono gli unici tra quelli provenienti da oltre un secolo di Science Fiction moderna. Mi permetto di spingermi oltre sostenendo che TUTTI gli archetipi che fondano l’immaginario collettivo consolidato nel mondo occidentale d’inizio millennio sono fantascientifici, compresi quelli negativi! Persino l’immagine della donna emancipata dal lavoro e liberata da opprimenti convenzioni sociali nasce dalla SF: in fondo uno dei primi veri propugnatori dell’uguaglianza tra i sessi è stato Herbert George Welles.

Questo è il motivo principale per il quale si è generalizzato il ricorso alle suggestioni fantascientifiche nella pubblicità.

E non da ieri: quando ero bambino, in TV, ho visto una reclame nella quale Franco Franchi e Ciccio Ingrassia si trovavano alle prese con un robot di nome Calogero!

Se i pubblicitari hanno ben presto compreso la forza evocativa della fantascienza, i creativi al servizio delle major discografiche si sono serviti del genere per carpire l’attenzione degli amanti della musica pop a partire dagli anni ’80. Come detto in precedenza, nella maggior parte dei casi alieni, robot e astronavi sono serviti soltanto per vendere più dischi. Ma un simile substrato è servito da laboratorio di idee e alcuni video possono essere considerati, senza tema di smentite, autentiche opere di fantascienza. Cosa possiamo concludere quindi? Personalmente penso che la straripante potenza evocativa della fantascienza sia – sic et simpliciter – riuscita a trovare una nuova, possente, forma espressiva. La Science Fiction è talmente impiantata nel “DNA culturale” dell’uomo moderno da venire fuori ogni volta che la creatività cerca nuove strade. E’ un po’ come un fiume in piena: quando è alimentato a sufficienza esce dall’alveo per creare nuovi rami prima di raggiungere il mare. Che in questo caso è la cultura del XXI secolo.