Another Past

Il 1980 alternativo della serie TV U.F.O.

di Enrico Di Stefano

 

Tornare indietro nel tempo. Chi non ha mai sognato di farlo? Chi non prova un briciolo di nostalgia degli anni vissuti in un’età più “verde”? Per noi baby boomers, noi che siamo nati nel decennio che va dall’inizio degli anni ’60 ai primi anni ’70, quale potrebbe essere l’anno ideale da rivivere?

Io proporrei il 1980. Perché proprio il 1980?

Qui si parla di fantascienza, il genere proiettato nel futuro per definizione, e qualcuno potrebbe chiedere: a che scopo questo salto indietro di quasi un quarantennio?

Il motivo c’è, eccome, perché nel 1980 è ambientata U.F.O. l’ormai leggendaria serie TV prodotta da Sylvia e Jerry Anderson nel 1969 per complessivi 26 episodi. Questo dato è già interessante. La vicenda si svolge appena due lustri dopo il presente dei suoi creatori e mostra tecnologie sicuramente avveniristiche per l’epoca, ma abbastanza vicine a quelle già esistenti in quel momento storico, quello del primo sbarco dell’uomo sulla Luna.

Si tratta, ovviamente, di un 1980 alternativo rispetto a quello che abbiamo vissuto. E qui sta il bello. Alternativo, ma fino a che punto?

La storia, più o meno, la conoscono tutti: alieni umanoidi, esponenti di una razza ormai morente, molto molto simile alla nostra, eseguono incursioni dissimulate sul pianeta Terra allo scopo di sottrarre gli organi vitali ai suoi abitanti e trapiantarli nei propri corpi; scoperti, vengono contrastati da un’organizzazione internazionale guidata dal comandante Ed Straker : la S.H.A.D.O.

 

Agli occhi di un ragazzino di dieci anni, com’era chi scrive all’epoca della prima trasmissione della serie nel nostro paese, i vari episodi erano molto spettacolari anche se un po’ ripetitivi. Una squadriglia di U.F.O. (quasi mai più di tre) si lanciava all’attacco del nostro pianeta. La difesa era affidata alla panoplia di mezzi da combattimento terrestri: gli Intercettori e i Ground Defense Vehicles di base sulla Luna, lo Sky1 lanciato in immersione da un apposito sottomarino, gli Shadomobile, una sorta di veicoli cingolati potentemente armati. Prevalevano, a uno sguardo infantile, le scene di combattimento. Tra l’altro, davvero ben realizzate.

Ma dopo essere andati avanti nel tempo per oltre quarant’anni, con il naturale succedersi di adolescenza, gioventù e maturità, è possibile che qualcosa sia cambiato nel nostro modo di percepire la serie?

Ebbene sì: gli occhi di un adulto riescono a vedere ciò che fa da contorno alla storia e consentono una diversa chiave di lettura della serie. In realtà, il 1980 alternativo in cui si muovono le donne e gli uomini della S.H.A.D.O. presenta non poche problematiche (decisamente virulente già alla fine degli anni ’60) che a tutt’oggi, in pieno XXI secolo, sono ancora irrisolte.

La serie ne parlava esplicitamente.

Le tensioni all’interno della coppia, tema molto ricorrente. Oppure il ricorso agli stupefacenti legato al disagio giovanile. Di quest’ultimo è rivelatore il dialogo tra Straker e Catherine, una ragazza coinvolta in un cruento incontro ravvicinato con gli extraterrestri dopo essere scappata di casa. L’episodio è il n° 26 “Il lungo sonno”.

 

Straker: <<Adesso se la sente di parlarmene?>>

Catherine: <<Sono scappata di casa per sfuggire ai miei genitori perché mi soffocavano. Io li amo molto, ma volevo essere me stessa finalmente.>>

Ma tra tutte le tematiche affrontate, spiccano la discriminazione razziale e di genere. Sarebbe facile obiettare che tra gli esponenti di primo piano della S.H.A.D.O. ci sono alcune donne, come il colonnello Virginia Lake e il tenente Gay Ellis, e che due degli ufficiali, i tenenti Mark Bradley e Nina Barry, sono neri. Tuttavia queste personaggi, e non solo loro, percepiscono l’esistenza di una barriera impalpabile tra persone di origine diversa e, più o meno esplicitamente, ne appaiono condizionate.

Possiamo fare due esempi emblematici riportando un paio di estratti dei dialoghi di altrettante puntate. Naturalmente ci riferiamo al doppiaggio italiano.

Ecco il primo, tratto dall’episodio n° 4 “Bonifica Spaziale”.

Il colonnello Paul Foster risulta disperso in missione. Occorre nominare un nuovo comandante per la Base Lunare. Straker offre il posto al tenente Mark Bradley, capo squadriglia degli intercettori, ma l’ufficiale rifiuta la proposta.

Bradley: <<Certo, dopo Foster ho il grado più alto. E’ una scelta obbligata.>>

Straker: <<Quindi io le offro il comando della base lunare e lei rifiuta. Perché?>>

Il tenente rimane silenzioso e Straker lo incalza: <<Le ho chiesto il perché!>>

Bradley risponde sfiorandosi la guancia con un dito: <<Per questo colore.>>

Straker: <<Non dica idiozie. I pregiudizi razziali sono morti di morte naturale da anni.>>

Bradley: <<Che ne sa lei?>>

Ecco il secondo, tratto dall’episodio episodio n°10 “Il posto delle decisioni”.

Ed Straker ha appuntamento con un giornalista freelance. La segretaria gli annuncia un tale Jo Fraser, ma all’appuntamento si presenta una giovane e bella donna. Questa, di fronte allo stupore del comandante non si fa pregare fornisce un’inattesa spiegazione.

Fraser: <<Devo scusarmi, il mio nome è Josephine Fraser. Il fatto è che credo che in un mondo di uomini, Jo sia più conveniente.>>

Straker: <<Lei trova che sia un mondo di uomini?>>

Fraser: <<Io penso di si.>>

 

In entrambi i casi Ed Straker, uomo bianco che occupa una posizione dirigenziale, appare incredulo di fronte alla sopravvivenza di meccanismi discriminatori che, in perfetta buona fede, ritiene appartenenti ad un passato ormai remoto. E’ un atteggiamento frequente ancora oggi nelle persone che si ispirano a buoni principi e che, naturalmente fiduciose e ottimiste, faticano a farsi un’idea dei pregiudizi ancora diffusi in pieno XXI secolo. Ben dopo il 1980 alternativo in cui si svolgono le avventure di cui parliamo.

La scelta degli sceneggiatori appare assai lungimirante, se non addirittura profetica. A distanza di mezzo secolo dalla realizzazione della serie, esiste ancora oggi un diffuso razzismo mentre la condizione della donna è ancora tale da negarle la possibilità di godere appieno di pari opportunità. E’ un po’ come se gli autori, all’epoca, non si fossero fatte troppe illusioni sul futuro prossimo.

La maggiore consapevolezza di cui disponiamo oggi, rispetto a quella che possedevamo nei primi anni ’70, ci induce a pensare di aver più o meno inconsciamente sottovalutato U.F.O. che in realtà, al di là del grande successo riscosso tra i giovanissimi di mezza Europa, era più che adatta a un pubblico adulto e consapevole.

Ma, al di là di queste considerazioni, com’è il 1980 di U.F.O. rispetto a quello che abbiamo effettivamente vissuto?

Sicuramente molto proiettato verso lo spazio, come se la spinta che ha portato l’uomo sulla Luna si fosse mantenuta costante, cosa che in realtà non è avvenuta a causa del costo immenso dell’avventura astronautica.

Bisogna comunque ammettere che, in almeno un paio di episodi, viene sottolineato il problema insito nel reperimento dei fondi necessari allo sviluppo e al mantenimento di un imponente apparato di sorveglianza e difesa. Tematica, tra le altre cose, presente anche in Spazio 1999 (n.d.A.).

Nel mondo alternativo in cui opera la S.H.A.D.O., per dirne una, esiste una base permanente sul nostro satellite cosa che, se si provasse a fare oggi, costituirebbe una sfida tecnologica straordinaria e una sorta di buco nero per le finanze delle più ricche e potenti nazioni terrestri.

Nella realtà, dopo la fine del progetto Apollo, la corsa allo spazio ha subito un evidente rallentamento. La missione congiunta USA-URSS, la messa in orbita di laboratori come Skylab e Saljut , i programmi Shuttle e Buran sono stati importanti e di fondamentale importanza per ciò che è venuto dopo, specialmente per la realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale, ma hanno anche rappresentato un impegno più sostenibile per le istituzioni coinvolte.

Almeno in confronto a quanto si è visto per tutti gli anni ’60.

Tirando un po’ le somme di quanto appena detto, perché gli autori vedevano in questo modo il decennio che si affacciava dopo i ruggenti sixties?

Come immaginavano la società del futuro?

Probabilmente credevano che la corsa allo spazio non avrebbe subito significative battute d’arresto, anche a causa della permanente rivalità tra l’occidente e U.R.S.S. mostrata, neanche tanto velatamente, in particolare nell’episodio n° 10 “Il posto delle decisioni”.

Non si aspettavano, con ogni evidenza, un sostanziale miglioramento della natura umana. Le problematiche che affliggevano la società inglese venivano riproposte nella loro pienezza, seppur apparentemente attenuate dalla fiducia nell’avvenire che si respirava all’epoca della realizzazione della serie.

Scelta condivisibile, se è vero che la fantascienza deve produrre storie con un intreccio verosimile, ma che forse ha limitato il successo della serie alla sola Europa.

Negli Stati Uniti, infatti, U.F.O. non ha goduto di altrettanta fortuna. Il pubblico americano, si è detto più volte, non avrebbe apprezzato le tematiche troppo “adulte” della serie e le avrebbe preferito qualcosa di più rassicurante come ad esempio “Lost in Space” che si rivelò tanto adatta ai palinsesti d’oltreoceano da godere di ben altra longevità: tre stagioni con ben 83 episodi.

Concludendo, vale sicuramente la pena rivedere integralmente gli episodi di U.F.O. Non tanto perché consentono agli appassionati più nostalgici un salto indietro ai “bei tempi”, quanto perché la serie è ancora godibilissima dal punto di vista visivo, è caratterizzata da un ritmo tutt’altro che lento, anche usando il gusto odierno come metro, e mantiene la capacità di rivelare sempre nuovi dettagli ad ogni visione successiva.

Last but not least, sembra ancora sorprendentemente capace di suscitare meraviglia nei giovanissimi.

Quale migliore conferma della qualità di questa ottima, innovativa e a tutt’oggi amatissima produzione di Jerry e Sylvia Anderson?